Collelungo un Tesoro Nascosto della Sabina
Itinerario rurale
La Strada romana: strada di transumanza
Il territorio, ricompreso tra la riva destra del Fiume Farfa a sud, la SS. 4 Salaria ad est, la strada provinciale Tancia ad ovest e la pianura di Rieti a nord, a parte la presenza di antichi centri abitati ( Colle lungo, Casaprota, Montenero , Monte San Giovanni, Ornaro ecc… ) è caratterizzato da una ininterrotta ed integra superfice boschiva di diverse migliaia di ettari, che costituisce gran parte dell’area di ricarica della falda della Sorgenti delle Capore. In quanto tale, esso è stato individuata quale area di salvaguardia delle stesse, oggi captate da ACEA per alimentare il sistema acquedottistico Peschiera-Capore, realizzato a servizio di Roma-Capitale.
Da sempre esso è attraversato da un sistema interconnesso di percorsi in quota utilizzati a piedi o a dorso di animali, che nel tempo hanno assicurato alcune il collegamento tra i centri abitati, altre il collegamento tra le zone interne e la città di Roma ed il suo territorio. Queste ultime sono le cosiddette “strade romane”, un sistema di viabilità secondaria, riportate con tale nome negli antichi catasti pontifici. Con tale denominazione, infatti, era uso indicare percorsi, di origine antichissima, costituenti una rete di strade parallele alla Salaria, che venivano utilizzate sia per il transito delle greggi nelle transumanze verso la pianura laziale, sia per i traffici commerciali sia per il transito dei pellegrini .
Al presente tale sistema stradale è caduto in disuso ed ha ceduto il passo alla viabilità rotabile che ha prediletto, per i propri percorsi, i fondovalle e, tuttavia, gli enti gestori dei demani civici di Colle lungo e Montenero hanno inteso promuovere un progetto d’ambito, finanziato con i fondi del PNRR, con l’obiettivo del recupero funzionale del tratto di “strada romana” compreso nei loro territori, riscoprendo un’ itinerario che li attraversa in quota e si collega, nei pressi di San Giovanni Reatino, con il Cammino di Francesco. Tale itinerario è stato classificato come sentiero CAI N. 350, poiché prevede una prosecuzione verso Fonte Colombo, uno dei quattro santuari francescani della Valle Santa.
Le strade romane hanno un’origine antichissima che può farsi risalire all’ età del bronzo ed alla “ civiltà appenninica" (1700-1200 . a.C.). L‘ economia dei gruppi umani di quell’epoca lontana, era basata sull’agricoltura e su un tipo di allevamento in parte transumante ed in parte sedentario. La parola “transumanza” deriva dal latino “trans” (al di la) e “humus” (terra) = pastorizia trasmigrante con le stagioni, lungo i tratturi, dal latino “tractoria” = le strade dei pastori ed ha una storia antichissima che molto probabilmente coincide con la storia stessa dell'allevamento. La transumanza era regolata e disciplinata fin dall’epoca dei Romani da un complesso di leggi e di tasse da pagare nelle diverse dogane, dato che costituiva una forte voce di entrate tributarie per lo stato; è stata praticata nel tempo nelle più diverse regione dell’Europa ed oggi risulta inserita nella lista dell’UNESCO del patrimonio immateriale dell’umanità.
Lungo i percorsi di transumanza i pastori avevano bisogno di trovare acqua, erbe, ricoveri, stazzi, per far mangiare, bere e ricoverare le bestie e loro stessi: a questa esigenza debbono la loro origine insediamenti che possono essere, a seconda delle epoche, piccoli villaggi ( in epoca preistorica), grandi fattorie consistenti in edifici-alloggio con un grande cortile per le bestie in epoca romana, e chiese collegate ad aree di ricovero per animali e uomini nel medioevo, osterie.
In alcune zone questi punti di sosta hanno dato origine a villaggi, città vere e proprie ( ad. es. Benevento, Spoleto, la stessa Roma) punto finale di varie vie di transumanza e grandi Abbazie, come quella di Farfa, collocata lungo le grandi vie di transumanza, che garantivano al pastore la sicurezza per la sua attività
In particolare, l’asse stradale che mette in collegamento i territori di Montenero e Collelungo, ha una storia che si perde tra le pieghe del tempo e nel novero di una grande quantità di documenti. Dove questi ultimi tacciono, si fanno strada la memoria storica delle comunità e la tradizione orale.
Per quanto possa sembrare strano, il tratto stradale che congiunge i due territori, mentre per l’area di Collelungo è attestata ampiamente nella cartografia del Catasto Gregoriano (1816 - 1835) come strada romana, per quello di Montenero non è così. Appare, infatti, soltanto per un breve tratto con tale denominazione, approssimativamente dal casale dell’Osteria di Scrocco fino all’altezza del colle denominato “Collacchi”, attigua all’area di Capitignano. Qui si interrompe e non vi sono tracce di alcun tipo di viabilità che vadano oltre. Tuttavia è indubitabilmente attestata la presenza di una strada Romana nella documentazione farfense (Regesto Farfense in particolar modo) del X sec. e in altri documenti notarili più tardi, databili tra il XIV – XV secolo. In essi è testimoniata la presenza di un importante via di comunicazione (definita invariabilmente strada romana o strada di Rieti, confermandone la funzione di collegamento tra l’urbe - da una parte – e l’area di Rieti e della sua conca), che per secoli è stata la via per le transumanze ed il passaggio di uomini e merci.
La presenza di una serie di antichi piccoli laghetti naturali – alcuni dei quali presenti anche nel Catasto Gregoriano – testimoniano indirettamente la presenza di un tracciato viario che doveva servire proprio al passaggio di bestiame. Tali invasi - tra i quali il lago di Casale Lungo, della Menta, dei Fajtti, della Scossa, di Rescagnano, del Cupojo, della Rocca – non potevano avere altra funzione se non quella di servire da ristoro per animali e uomini in movimento ed erano le tappe di un unico asse viario; asse che oggi, come nel lontano passato, unisce tutti quei punti di sosta e disegna con sufficiente chiarezza un tratto stradale nord/sud che ricalca, a quota più elevata (potremmo dire lungo il crinale) la via Salaria che si snodava più a valle. Inoltre, la presenza di un vero e proprio villaggio rurale detto “di Rescagnano” (documentato già nei primi anni del X secolo), presuppone la necessaria presenza di una qualche via di comunicazione che mettesse in connessione tale realtà abitativa con gli altri agglomerati allora esistenti - San Giovanni Reatino o la stessa Rieti, - verso nord - e Casaprota, Collelungo, Ponte Buida, Farfa - verso sud. Dunque, anche se non testimoniata graficamente dal Catasto Gregoriano, quella via romana, verso nord si biforcava in due direttrici: verso sinistra scendeva in direzione di Cerchiara e della Valle Canera, mentre a destra proseguiva, come accennato, verso Rieti e la sua vallata. Per secoli, essa dovette servire come una buona alternativa al valico del Tancia e della sua Osteria per la transumanza.
Le greggi invece di passare per la via più breve, attraversando la valle Canera e scendere dal Tancia, verso la Sabina Tiberina ed il Tirreno, potevano percorrere questa seconda via, passando in quota e attraversando i territori di Montenero e Casaprota scendendo o verso Mompeo- Castelnuovo, Farfa o Collelungo scendendo verso Osteria Nuova e proseguendo verso Cures, Osteria del Grillo, Monterotondo ed approdare poi sulla costa laziale a sud di Roma.
Su queste strade si mossero non solo i pastori e le greggi transumanti dall’ Appennino alla pianura laziale e viceversa, ma anche commercianti di beni essenziali, come il sale e la lana, ma anche artigiani come argentieri e abilissimi scalpellini come i maestri lombardi ( vedi l’ Arco di san Clemente ) ed artisti ( es. pittori ) lasciandoci i loro affreschi . Esse favorirono la circolazione delle idee con scambi culturali, saperi, culti di santi ed arte. Nel nostro caso, a margine di essa sono sorti, nel tempo, insediamenti più o meno stabili ( vici, pagi) di cui rimangono testimonianze nei toponimi ( dapacu, peschi’e rampuni, chiuse ) e in ruderi ( muri saraceni di Via Capolecase), chiese rurali ( San Clemente, San Nicola a Colle Lungo, San Michele a Casaprota, e cappelle ( la Madonna della Quercia o Mamma nostra, Sant’Angelo) e dai “castra” di Colle Lungo e Casaprota, Montenero, Ornaro ecc….
Alle pecore era, ovviamente collegato il mercato della lana: nei sec. XIV-XV ( a Firenze monopolizzato dalla famiglia Medici) era un motore di ricchezza economica paragonabile a quello dell'estrazione del petrolio per i Paesi Arabi dei giorni nostri. Collegato a questo mercato, nel ns. territorio, era l’impianto della “gualchiera” per la lavorazione della lana, esistente ancora nel sec. XVII a fianco del grande Mulino a due ruote in prossimità della Sorgente Le Capore.
La ns. strada romana proveniva dall’ Appennino e, prima della Cima a Valle Forcana, si divideva in due rami ( uno verso Casaprota e l’altro verso Colle lungo) per scendere poi verso la Campagna Romana, verso cui, nel 1477 papa Sisto IV obbligò tutti i pastori del Regno della Chiesa a portare le greggi a svernare, con un tragitto che in genere percorreva le vie consolari Salaria e Flaminia, o percorsi paralleli, come quello della ns. Strada Romana. La transumanza nel Lazio si accrebbe a partire dal 1800, quando quella nel Regno delle Due Sicilie entrò in crisi. In particolare la transumanza amatriciana ha avuto da molto tempo la Campagna Romana come meta principale. Il percorso di andata ( demonticazione ) e ritorno ( monticazione ) avveniva a piedi, seguiva la direttrice della Via Salaria e durava in media 7 giorni, con diverse tappe, muovendo dalla zona di Amatrice alle prime piogge di settembre, passava per Cittaducale, aggirava Rieti e proseguiva verso Roma seguendo scorciatoie . Si percorrevano una media di 20-25 km. al giorno, ma si camminava di notte fermandosi la mattina per far mangiare e riposare le bestie. Giunti nei pressi dell’Osteria dell’Ornaro, bisognava aggirare la profonda valle del Rio Secco ( in cui, oggi, scorre la Variante alla SS 4, realizzata negli anni ‘50/’60), o passando per Scrocco di Montenero, ( dov’era una antica Osteria dei cui servizi potè godere anche Giusppe Garibaldi con i suoi in fuga da Mentana) o per i paesi di Ornaro e Poggio San Lorenzo, giungendo poi ad Osteria Nuova, Nerola e Passo Corese. Nel mese di maggio si partiva per il percorso inverso.
Così un pastore poeta originario di Terzone di Leonessa di fine ‘800) descrive il passaggio, parallelo al nostro:
Quindi per la Città ( Rieti ) fanno il passaggio,
Presso l'Ornaro hanno la sera alloggio;
Seguendo poi ciascuno il suo viaggio
Passa di S. Lorenzo in mezzo al poggio;
Và per fangose vie pien di coraggio
Che gli serve il baston di forte appoggio,
E di Nerola omai s'io non vaneggio
All'antica osteria giunger li veggio.
Era nota ed indiscussa l’abilità di improvvisazione poetica dei pastori, viva tuttora nel cosiddetto “Canto a braccio“; i locali, tuttavia, satireggiavano così su tale abilità, segno di rapporti non del tutto idilliaci.
Lu pecoraru quanno va’ in Maremma,
se crede da esse giudice e notaru.
La coda della pecora è la penna,
la pelle della pecora è la carta,
lu sicchiu de lo latte è u calamaru.
L’importanza della strada venne meno con la costruzione delle strade rotabili a fine 1800 e primo ‘900 ed infatti già nel Nuovo Catasto ( 1936) la strada viene chiamata “ex romana” ed il suo nome “trasferito” alla nuova rotabile di collegamento alla “nazionale” Salaria. La pratica della transumanza continuò anche dopo l’apertura delle rotabili, anche affidata ad autotreni, ma quella a piedi cessò del tutto dopo il secondo conflitto mondiale.
Il sentiero CAI 350 : sulle tracce di antiche presenze…
Al tracciato della strada romana si sovrappone, almeno in parte, il sentiero CAI 350 che collega Colle lungo a al Santuario francescano di Fonte Colombo a Rieti. Questa circostanza ci consente di evocare antiche presenze ricercandone le tracce ancor oggi visibili.
L’itinerario ha inizio dalla Piazza XXIV Maggio a Colle lungo che è detta anche “la Rota”: con questo nome veniva indicata sia una complessa strumentazione ( i cui elementi sono stati riutilizzati in parte nel monumento eretto ai caduti) per la riduzione della lussazione degli arti degli animali da soma che il luogo ove essa era collocata. A margine di essa era la Chiesa, extra moenia di San Nicola, il cui culto fu importato, con ogni probabilità, come quello di San Clemente, da ambienti in cui era presente un’influenza greca presenti ancora a Roma in epoca medioevale, ovvero da pellegrini di ritorno dal pellegrinaggio a Bari sulla tomba di San Nicola, a dimostrazione che la strada faceva parte di un itinerario percorso da pellegrini.
Poco dopo l’inizio del percorso, in Via Capolecase ed a margine della strada , vi erano resti di edifici romani in opus reticolatum ( i casarini, u puzzone) l’Arelatinu ( una spianata in roccia naturale utilizzata come aia per la trebbiatura di cereali e legumi) e la Cappella della Madonna della quercia o “mamma nostra”: tutti luoghi e manufatti che, evidenziano l’antica frequentazione del territorio e della strada che potè favorire le prime forme di insediamenti fissi.
Di quell’epoca lontana ci rimangono anche altri elementi come:
- un basamento di un torchio oleario, a dimostrazione dell’antichità della coltura dell’olivo nel territorio;
- un’ara funeraria dedicata a una donna, Vettiena Secundina, da suo marito Lucio Fulcinio Secolare;
- il nome generico del villaggio (il pago) rimasto nel nome di un contrada del paese attuale.
Il collegamento con Rieti potè favorire, seppure tardivamente ( sec. XVII) anche l’insediamento a fianco della Chiesa della Madonna della Croce, posta a metà tra Colle lungo e Casaprota, di un piccolo convento francescano; insediamento che, tuttavia, ebbe vita breve. Il sentiero CAI 350 recupera il collegamento di questo luogo con il santuario francescano di Fontecolombo a Rieti da cui, forse, promanò l’insediamento.
Salendo in quota ci si può soffermare al 1° Belvedere, da cui si può godere della veduta panoramica con il Monte Soratte in primo piano, e sullo sfondo ma solo nei giorni di cielo terso, i Monti della Tolfa, Monte Romano ( al confine tra Bracciano e Nepi ) e i Monti Cimini.
A lato il Maceraro ovvero la Pietraia dei Piani Ferrari . Il vocabolo, un antico seminativo poi pascolo, è contraddistinto dalla presenza di un lungo deposito di pietre( detto maceraro ) accumulatesi nel tempo per l’opera dei contadini che liberavano il terreno dalla loro presenza.
Più oltre il terreno spiana in un balcone naturale : il Torcione, , metà, fino alla fine degli anni ’60, dei ragazzi per le partite di calcio. Le ragioni del nome del vocabolo sono difficili da individuare
Dopo il Torcione il percorso torna a salire verso La scossa , ovvero il valico: i pastori transumanti provenienti dall’Appennino con le loro greggi, dall’alto di questo monte potevano intravedere, per la prima volta, la fine del loro viaggio.
Questo tratto di strada che scavalca la cima della montagna che sovrasta Colle Lungo , doveva essere particolarmente emozionante per i pastori che, per la prima volta dopo giorni di un cammino defatigante ( Quanno che eri arrivato a Roma eri morto, te e le pecore ! ricorda un pastore). , intravedevano la metà: la pianura laziale e, in particolari circostanze, anche la linea del mare all’orizzonte. Tornano alla memoria le parole del poeta:
E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!
( G. D’annunzio – I pastori )
Dalla Scossa un breve sentiero porta alla Castagna, ossia la Cima. Veduta dei monti del Terminillo, Giano, Nuria, Navegna, Cervia, Pellecchia e Monte Gennaro, la pianura laziale, Roma e i Monti Cimini . I tedeschi, in ritirata, nel 1944, vi collocarono una postazione di artiglieria.
Il percorso, dopo la Scossa discende verso Valle Forcana, dove un ramo della strada scende verso Casaprota mentre quello principale prosegue verso l’ Osteria di Scrocco, nel territorio di Montenero. Si racconta, con una punta di malcelato sarcasmo, che all’Osteria di Scrocco si rifocillò, a gratis, Giuseppe Garibaldi con i pochi garibaldini rimasti con lui dopo la disfatta di Mentana ( 1867). Il racconto quasi sicuramente è più di un racconto perché nel paese il passaggio di Garibaldi lasciò tracce concrete: il soprannome di “ Garibaldi” a Giuseppe Mazzatosta, un uomo di stazza e la fama di garibaldino che accompagnò in vita e dopo morte un tale, Stefano Zonetti, di professione commerciante.
Dopo un tratto che ricalca l’attuale strada provinciale il sentiero si rituffa nei boschi, raggiungendo la loc. Forcella, il cui nome indica una biforcazione di strade. Il paesaggio è caratterizzato da estese formazioni boschive di cerrete e leccete, con cerri, lecci e carpino nero.
Tutto il territorio in quota, anche a partire da Colle lungo, è povero di acque sorgive ma ricco di biodiversità. Un discreto grado di piovosità ha consentito di creare, per l’abbeverata di animali, stanziali e transumanti, al pascolo, pozze semipermanenti per la raccolta di acqua piovana ( laghetti) su letti di argilla. I numerosi laghetti hanno costituito da sempre una risorsa fondamentale per il territorio, indispensabile per il mantenimento del bestiame, rendendo possibile lo sfruttamento agricolo, boschivo e pastorale delle zone di alta collina altrimenti inutilizzabili.
Qui il paesaggio presenta zone collinari interrotte da piccoli spazi pianeggianti e zone montuose con cime poco elevate. Notevoli sono i prodotti del sottobosco, presente la fauna selvatica con cinghiali, caprioli, cervo, lupo , istrice, martora, puzzola e l’avifauna.
La località Rescaniano che si incontra lungo il percorso è documentata nei manoscritti lasciatici da Gregorio da Catino, monaco dell’Abbazia di Farfa ( 1060-1113). Da questi documenti, preziosi per la conoscenza della storia dell’ alto medioevo, apprendiamo che in questi luoghi si tenne un processo presieduto da un messo dell’ imperatore Ottone I, che sfociò in una sentenza ( il placitum ottoniano ), che rimetteva l’ Abbazia di Farfa in possesso di beni presenti in quei luoghi e ad essa usurpati ma anche della presenza di abitanti, di un chiesa dedicata a San Martino di una “via pubblica”, che trova riscontro nella strada romana.
Divieto. Le aree di proprietà collettiva sono sottoposte a vincolo paesaggistico ai sensi della L. 431/1985. In tali aree, compresi i relativi sentieri e mulattiere, è vietato a chiunque di circolare fuoristrada con veicoli a motore. (L. R. 30.3.87 n. 29).